Disegno e disabilità: da strumento d’indagine ad occasione d’incontro.

Il disegno rappresenta da sempre un potente strumento per entrare in contatto con il mondo infantile. La scoperta del segno grafico compare quasi per caso e poi si rafforza nel corso del tempo dando luogo a produzioni via via sempre più complesse.

Per gli adulti appare naturale avviare il bambino a tale attività tanto che viene spesso utilizzata anche in ambito scolastico per “rompere il ghiaccio”; non è infrenquente, soprattutto all’inizio della scuola primaria,  che gli insegnanti diano l’avvio al primo giorno di scuola chiedendo agli alunni di disegnare se stessi, le vacanze appena trascorse o, semplicemente, ciò che è per loro più gradito.

Gli educatori sanno bene, infatti, che fogli e matite permettono di aprire una finestra per entrare in contatto con il bambino che hanno di fronte: il tratto grafico consente di raccogliere informazioni sulla competenza cognitiva del bambino, sul suo stato emotivo, sulle relazioni per lui significative e, spesso, sono il primo campanello d’allarme in grado di segnalare difficoltà, disagi se non veri e propri traumi.

Appare naturale ai più chiedere ad un bambino di eseguire un disegno, sembra una richiesta facile senza particolari insidie, rassicurante. Tali considerazioni spingono spesso anche gli operatori più esperti a proporre ai piccoli disabili di “disegnare qualcosa” senza tuttavia tener conto di alcune specifiche problematiche legate alla disabilità stessa.

In realtà l’esprimersi graficamente viene spesso accettato volentieri dai bambini in difficoltà che, tuttavia, danno luogo a produzioni ovviamente lontane da quelle dei coetanei. E’ necessario chiarire che in questo caso non ci si può rifare ai classici canoni qualitativi nel giudicare il prodotto che si ha davanti dal momento che lo sviluppo della competenza grafica di un bambino disabile segue regole evolutive e strutturali sue proprie che sono legate sia alla storia dello specifico bambino che si ha dinanzi sia alle caratteristiche dell’handicap.

L’attività apparentemente semplice del disegnare coinvolge in realtà numerose funzioni cognitive e motorie; un’esecuzione chiara richiede che il disegnatore  possegga una sufficiente coordinazione oculo motoria (che gli permetterà di muovere e controllare la mano nel corso dell’esecuzione), un’adeguata capacità attentiva (che gli consentirà di fermarsi in un’attività produttiva il tempo necessario per portarla a termine), un minimo di progettualità strategica (attraverso la quale potrà anticipare mentalmente ciò che intende tracciare sul foglio).

Tutte queste fondamentali competenze devono essere supportate da quella che Piaget definisce “funzione simbolica” ossia la possibilità di utilizzare i significanti (ossia i simboli o i segni – come appunto il disegno-) per richiamare alla mente i significati (gli oggetti reali).

A tal proposito è necessario ricordare che spesso in alcuni bambini, pur essendo presenti coordinazione attenzione e progettualità, manca completamente l’accesso ad una funzione simbolica evoluta. Accade, ad esempio, che alcuni  soggetti  autistici siano in grado di effettuare fin da età precocissime produzioni grafiche molto belle da un punto di vista formale ma tanto aderenti alla realtà o all’esemplare che hanno scelto come rappresentativo di una data categoria, da non riuscire in alcun modo a rendere comunicativo il proprio prodotto. Si tratta di bambini che, pur migliorando la capacità tecnica, l’uso della prospettiva e di altre competenze grafiche, danno luogo a disegni piatti ed inespressivi, incapaci di aprire una finestra sul mondo interno di chi lo ha prodotto.

E’ dunque chiaro che non tutti i bambini handicappati sono in grado di disegnare; per i piccoli affetti da gravi disabilità motorie ciò è praticamente impossibile utilizzando gli strumenti classici (fogli e colori) anche se spesso le capacità espressive possono essere assicurate attraverso l’uso di congegni studiati appositamente per loro: particolari adattatori che consentono di impugnare pennelli o matite o, addirittura, caschetti che collocati sulla testa permettono di fruttare anche minimi movimenti volontari. Altre volte è sufficiente attrezzarsi con strumenti facilmente reperibili in commercio: fogli di grandi dimensioni che possono essere fissati al muro o distesi su un pavimento e consentono di poter utilizzare posture diverse per disegnare (ad esempio stesi o in piedi); matite o pennarelli di grande diametro che possono essere afferrati facilmente.

E’ necessario ricordare che il bambino nasce con il riflesso innato di presa (grasping), afferra cioè qualsiasi cosa venga appoggiata sulla mano. La presa è talmente forte che, se sollevato, può sostenere addirittura il proprio peso, ma per sviluppare la manipolazione è necessario che questo riflesso scompaia (ciò avviene intorno ai 2 mesi).

A questo punto il gesto della prensione attraversa un’evoluzione progressiva: l’oggetto inizialmente viene afferrato con il palmo, la mano richiusa a partire dal mignolo e senza utilizzare il pollice (prensione cubito-palmare, 3/5 mesi); lentamente la mano prende l’oggetto con tutte le dita spingendo verso il pollice (prensione digito-palmare, 8 mesi); infine, l’oggetto viene afferrato con l’opposizione pollice/indice, ottenendo la prensione vera e propria (prensione radio-digitale, 10/12 mesi).

(cfr. Muller 1969).

D’ora in poi, attraverso il gioco la prensione si arricchirà diventando sempre più precisa e coordinata. A due anni circa riuscirà a tracciare un cerchio, e a chiuderlo intorno ai tre anni.

Attraverso il continuo esercizio verso i 5/6 anni (non a caso l’inizio della scuola dell’obbligo), il bambino acquisisce le abilità che sottendono la scrittura: è in grado di prestare attenzione ad un compito, di usare la memoria uditivo-visiva, di esercitare un controllo fino-motorio dall’articolazione della spalla sino alle dita, oltre a sviluppare una buona coordinazione visuo-motoria, ha conquistato una dominanza ben definita e la consapevolezza dello schema corporeo.

Bambini con deficit motori o neuropsicologici non riescono a seguire l’iter evolutivo che porterà ad una corretta prensione e, dunque, per non perdere la possibilità di comunicare ed esprimersi graficamente dovranno essere supportati da strumenti adatti.

A volte può essere utile proporre i colori a dita che bypassano addirittura il problema della presa dal momento che sono le dita stesse o l’intera mano che, intinte nel colore vischioso, danno luogo alla produzione grafica.

Per alcuni soggetti, poi, l’uso delle nuove tecnologie fornisce l’occasione di poter accedere al mondo dell’espressività grafica con una certa libertà.

A tal proposito basti citare il comune paint (letteralmente “pennello”) fornito assieme a tutte le versioni di Windows, il sistema operativo commercializzato da Microsoft, attraverso il quale si possono aprire e modificare immagini ma anche crearne di nuove utilizzando solo il mouse o la tastiera.

Le difficoltà ma soprattutto le limitazioni provenienti dall’uso di strumenti classici per i bambini portatori di handicap dovrebbero essere conosciute e valutate anche in ambito scolastico.

Troppo spesso il “set” pittorico richiesto sia nella scuola dell’infanzia che in quella primaria è uguale per tutti i bambini e non tiene conto, al di là di specifiche situazioni di handicap, di attitudini, inclinazioni e difficoltà del singolo bambino.

Il disegno è soprattutto una modalità espressiva posseduta dall’uomo e, in quanto tale, dovrebbe consentire la massima libertà nei soggetti che la utilizzano. Fornire a tutti lo stesso “bagaglio” espressivo significa garantire la possibilità di accedere a mezzi diversi superando il  binomio foglio A 4 pastelli che ormai sembra farla da padrone nelle scuole italiane.

Un secondo muro che bisognerebbe abbattere quando si chiede ad un bambino disabile di disegnare è quello della pretesa di una prestazione “nella norma” molti alunni, infatti, pur avendo gravi menomazioni e bassi livelli cognitivi, posseggono un’adeguata consapevolezza delle proprie capacità e si rendono conto che il loro prodotto è lontano da quello degli altri compagni.

La richiesta di disegnare all’interno di un contesto scolastico, per sua natura regolato da voti, giudizi e valutazioni, dovrebbe essere accompagnato dalla rassicurazione che quanto prodotto sarà accettato benevolmente come un dono che il bambino offre all’adulto e che permetterà ad entrambi di creare un ponte relazionale, un contatto lontano dagli schemi classici maestro-allievo.

Per fare questo basterebbe a volte adottare piccoli accorgimenti, presentare il disegno come un dono di una persona speciale (“mi piace stare con te e vorrei un disegno che mi permetta di ricordarti anche quando non ci sei”); rassicurare anche in tono scherzoso il bambino rispetto alla sua scarsa maestria (ai piccoli che raccontano sfiduciati di non “essere bravi” raccontare, naturalmente solo se ciò corrisponde al vero, che anche noi siamo pessimi disegnatori proponendo, poi, di fare non il solito banale “bel disegno” ma piuttosto un “brutto disegno”); sostenere la produzione nei momenti di stallo (“sei forte, continua”); utilizzare quanto prodotto come strumento di autoconoscenza, da restituire al bambino confrontando quanto ci viene offerto con i precedenti disegni e non con quelli dei compagni (“ti sei disegnato più alto rispetto all’anno scorso, allora è proprio vero che stai diventando grande!!!).

E’ fondamentale, poi, riconoscere ed accettare quanto il bambino ci offre, spesso con notevole sforzo, garantendo a tutti un luogo fisico all’interno della classe in cui poter ritrovare se stessi attraverso il prodotto grafico. Il disegno dovrebbe poter essere esposto e condiviso dagli altri evitando di creare delle classi – museo dove campeggiano solo i magnifici schizzi dei più bravi (a tal proposito insegnanti ed operatoti in genere dovrebbero riflettere su quanto la classe museo riporti la propria incapacità di accettare debolezze e limiti propri oltre che altrui).

In fine il disegno, inteso nella sua accezione di ponte verso l’altro e strumento conoscitivo, non dovrebbe mai essere assoggettato alle regole del voto ma dovrebbe divenire un’occasione per poter comunicare bisogni, desideri ma anche difficoltà e delusioni.

Disegnare in classe è, dunque, per il bambino disabile un’ottima occasione per poter indagare i suoi vissuti nelle relazioni con i compagni, con gli insegnanti e con il sistema scuola più in generale.

Di seguito si presentano una serie di prodotti grafici eseguiti da bambini portatori di handicap. La consegna era semplicemente “disegna la tua classe”.

IL DISEGNO DI ANNA

IL DISEGNO DI ANTONIO

IL DISEGNO DI PAOLO

IL DISEGNO DI LORENA

IL DISEGNO DI ROBERTA

IL DISEGNO DI SARA

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